lunedì 12 ottobre 2015

MODI DI DIRE REATINI


È un modo scherzoso per sottolineare e ridimensionare la boria di una persona che si vanta di possedere molto o che crede di sapere molto.
Il modo di dire nasce da una storiella che era molto in voga tra il popolo. 

Un tempo, chiedere la mano di una ragazza si rivelava, a volte, quasi un'impresa. Il pretendente spesso veniva sottoposto dal padre della futura sposa, ad un vero e proprio interrogatorio per valutarne le intenzioni, sapere i particolari della famiglia di provenienza, valutare il lavoro che costui svolgeva, ma soprattutto l'eventuale dote che questi avrebbe portato alla futura moglie. Una dote considerevole infatti, avrebbe fatto di certo capitolare il padre più intransigente, poiché questi avrebbe visto più positivo l'avvenire della propria figlia e quindi avrebbe accettato di buon grado il matrimonio.
Si racconta che un giovane pretendente, che possedeva ben poco, dovendo recarsi a casa della fidanzata, conscio che avrebbe dovuto sottoporsi ad una serie di domande da parte del futuro suocero, domande che avrebbero toccato anche il doloroso tasto della dote, pensò bene di portarsi dietro un compare, persona più che fidata, che avrebbe dovuto sostenerlo vantandolo e aumentando le dosi ad ogni risposta che egli avrebbe dato.
Si misero quindi bene d'accordo:«Me raccommanno, compà, tu sta' bene atténti, avàntame de tuttu» raccomandò il giovane pretendente.
«Ce penso io, statte tranquillu!», rispose il compare.
Arrivati a casa della ragazza, il pretendente si sottopose alla solita serie di domande.
«Allora - disse il padre - quale è ésta dote?»
«Tèngo du' pecora», rispose il giovane con fare sottomesso.
E il compare: «Du' pecora!?... Ma ce ne tè ducéntu!».
«E pói», incalzò il padre.
«Téngo una casetta...»
«Una casetta!?... Ma ce té du' casali róssi che non fenìsciu mai!», disse di nuovo il compare.
Il padre della ragazza, sempre più soddisfatto, continuava a chieder e ad ogni domanda il compare, prestatosi al gioco, aumentava la proprietà a dismisura.
Ad un certo punto il giovane tossì.
«Figliu mé', ha' tosciùtu! Ma qué é mburzu?» chiese il futuro suocero preoccupato.
E il compare, con grande soddisfazione: «Mburzu!?... Ma è mburzu fràciu!».

da "Modi di dire reatini di ieri, di oggi" a cura di Sofonisba Antonetti

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